sabato 10 maggio 2014

Pagine






Pagine è un libro di bordo.
E’ la storia di un andare di terre in terre. Nostalgia delle partenze e degli arrivi; dei ritorni a casa : nel bagaglio sempre qualcosa di nuovo.
Appunti di viaggio, notazioni; la memoria che ferma le immagini, i sapori, il vissuto.

Pagine prosegue. Non è un vero diario, ma la premessa per raccontare quello che siamo stati, noi, in anni difficili ma bellissimi
.

Ricostruire un ambiente è come dipingere un quadro e Pagine, il mio libro di bordo, è la cornice.  È la storia di un sogno e sognare è vivere e vivere è amare.

I sogni richiedono fatica , amare disponibilità all’incontro.
Amare gli alberi, il tram che sferraglia gioioso sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte … uscire e mescolarsi tra la folla quando torna primavera

Pagine è la storia di un sogno e di un amore.
La storia di una battaglia a lungo pianificata, combattuta in campo aperto con le sue sconfitte e  le rare vittorie e come nel “Vecchio e il mare” di Hemingway succede che rimani con lo scheletro del grande pesce e il pesce era il sogno di una vita.




Basso di statura, robusto, i capelli di un castano chiaro leggermente brizzolati , don Arnaldo è negli anni sessanta e settanta  il responsabile della Missione Cattolica dei salesiani a Zurigo.
Se vivi in terra straniera, in un luogo di missione, il campanile, la chiesa, diventano  il porto dove andare. Grazie a don Arnaldo l’integrazione a Zurigo fu rapidissima e in breve tornai a vivere i miei anni.

Certo sarebbe bello raccontare di noi, del gruppo di giovani che cresceva velocemente intorno alla missione, descrivere i problemi,  gli amori, i sentimenti, gli ideali, la strada che ognuno avrebbe  preso.

Essere cattolici negli anni sessanta a Zurigo, in terra protestante.
 Vivere la propria identità e cercare negli altri, in ciò che è diverso da te, il meglio.

Dire: “ti amo!” era facile a Zurigo.
Amare gli alberi, il tram che sferraglia gioioso, sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte.
Uscire e mescolarsi tra la folla quando torna primavera …

Trovai  un lavoro come apprendista alla Shoeller und Co, un lanificio tra i più grandi d’Europa situato sulla Hartumstr, alla periferia nord della città dove la Limat, il fiume, si allarga in un’ampia ansa.
Un complesso di grandi dimensioni costituito da più edifici dalle caratteristiche omogenee.
Intorno all’opificio, appoggiate alla collina, le case per i dipendenti: una vera e propria cittadella. Gli stipendi erano rispetto ad altre aziende più bassi ma i dipendenti godevano della casa e dei servizi presenti nella cittadella. Non io che vivevo con mia madre.

Poco distante, proseguendo la Hartumstrasse, i campi  sportivi e lo stadio del Grassoper, la squadra di calcio più importante della Svizzera.

All’inizio fui utilizzato come apprendista nella tintoria; un impianto con numerose vasche per il lavaggio e la tintura a caldo delle lane.  Affiancavo un operaio italiano originario della Puglia. Non era difficile. 
Non riesco adesso a ricostruire il ciclo produttivo.
Il lavaggio delle matasse di lana cardata avveniva in grandi vasche. La lana immersa nell’acqua calda veniva ripulita con l’immissione di acido  prima di procedere alla tintura.
Terminato il periodo di ambientamento e prova venni trasferito nel reparto filatura con compiti di assistenza.  Un reparto composto da donne di origine greca e turca, Un misto di lingue che non mi impedì di comunicare e svolgere il mio lavoro.
Kalimera, …. Kalispera .. . Furono le donne ad insegnarmi il mestiere.  Il lavoro prevedeva la turnazione, 15 giorni al mattino, dalle 5 alle 14  e 15 giorni fino a sera, dalle 14 alle 23.
Avevo acquistato una bicicletta usata e con quella raggiungevo la fabbrica con ogni tempo e in ogni stagione.  Il 1966 fu un inverno molto rigido. Una mattina , intorno alle 4 e 30, sotto  casa,  il barometro della farmacia segnava – 21 gradi . Non avevo freddo e con la mia bicicletta raggiunsi come sempre la fabbrica che si trovava all’altro capo della città. C’era la neve.

 Preferivo il turno del mattino che mi consentiva di frequentare la missione mentre quello della sera  di studiare, disegnare, leggere.
Ero indipendente e progettavo di riprendere gli studi.
   Grazie alla Missione Cattolica sono anni belli. C’è il rammarico per gli studi ma torno a vivere i miei anni, a progettare, ad avere fiducia. La Missione diventa il mio ambiente, la nuova famiglia....
Entro in un gruppo che si stava formando composto da giovani donne che sono ancora nel cuore e nella mente. Avevamo poco più o meno di 16 anni. Fu grazie alle ragazze che il gruppo poté cementarsi. Divenimmo inseparabili.
 Quindi gli altri, quelli arrivati in Missione prima di noi. Giovani appena più grandi. Veneti, Friulani, Lombardi, Svizzeri del Canton Ticino.
  
Le immagini si sovrappongono e portano la gioia degli incontri, le gite; di quella volta che insieme  andammo sull’Uetliberg.
Uetli è’ il punto più alto e panoramico  di Zurigo. Prendemmo a Selnau  il treno con la guida a gramaglia che scatta e  consente di salire fin quasi la vetta posta intorno ai ‘900 metri. Il succedersi dei boschi, il lago che si apre lentamente e, arrivati in cima la terrazza panoramica: la vista dei monti che circondano Zurigo e  veloci corrono  verso la vicina Germania.
 Adriana, la più giovane del gruppo, era alle prime uscite. Parlava un italiano stentato. Era dolce Adriana. 

Tornammo a piedi, all’imbrunire, lungo un sentiero sconnesso e ripido che attraversava veloce i boschi fino alle prime case e alla stazione di Selnau. Eravamo felici. Il pranzo al sacco, il girovagare sulla cresta dell’Uetliberg, i giochi, i profumi e gli odori di un giorno d’estate.

Ogni anno la Missione organizzava un pellegrinaggio ad  Einsiedeln, al Santuario di N.S. degli eremiti, la miracolosa Vergine nera
Il Santuario della Madonna nera di Einsiedeln ha una storia che merita un breve cenno. Intere comunità, seguendo i deliberati delle assemblee cittadine, passavano alla Riforma e le principali cattedrali mariane presenti  nella Svizzera  vennero occupate dai protestanti che avevano in Zwingli, a Zurigo e in Calvino a Ginevra i loro massimi esponenti (siamo nel 1500). Il passaggio alla Riforma comportò la distruzione degli altari e delle immagini sacre; un periodo buio che mise in forse la sopravvivenza del cattolicesimo.. Nonostante la forza dei riformisti, i cattolici riuscirono a difendere alcune posizioni e a stabilire la propria egemonia in Canton Ticino.
 Durante la riforma protestante l’Abazia benedettina di Einsiedeln, fondata al termine del primo millennio, rappresentò in Europa un baluardo della cattolicità .
Ho brevemente tratteggiato un periodo della storia della Svizzera  per dare significato al nostro essere cattolici a Zurigo. 

 ***

Al mattino passavo il tempo a leggere e a studiare. Matematica,  fisica …  i libri di lettere e filosofia scelti senza una guida, … Amavo disegnare: ero bravo.
La passione per il disegno non era una novità ma una dote emersa sui banchi di scuola. Ed ero bravo, di gran lunga il migliore.
A Zurigo uscivo di casa con le matite, i fogli, i pastelli e il carboncino per ritrarre i fiori, le foglie, i paesaggi, la bottega del fruttivendolo, gli alberi e i viali del Rieter Museum.
 Ero in grado di rifare, a carboncino, a matita, con i pastelli i dipinti di artisti  famosi e spesso correvo fino al Kunsthaus, il Museo, per visitare le sale, studiare la luce, le armonie, i colori, le ombre .. nei quadri .

Ero affascinato dal mondo della fisica, dallo studio dell’infinitamente piccolo cioè alla teoria quantistica, la base ultima sulla quale si regge l’intero universo microscopico delle particelle e, indirettamente, a tutto quanto noi possiamo vedere, udire, toccare. In tutto questo ritrovavo facilmente Dio.    
Studiavo per comprendere l’armonia della natura e il mistero della vita.
Studiare e comprendere le leggi che regolano l’universo minimo significava, pensavo, comprendere l’universo stesso di cui siamo una infinitesima parte e andare oltre la dimensione osservabile e indagare.
Giorno dopo giorno elaboravo il mio futuro quello che volevo fare, che avrei voluto.

Come fare?

Discutevo di futuro con Riccardo che voleva studiare medicina ma non aveva ne i mezzi ne gli studi per iscriversi all’università.
Era difficile per noi, a quei tempi, giovani immigrati senza appoggi immaginare il futuro. La città offriva molte opportunità di lavoro non strutturato. Al mattino potevi portare i giornali di casa in casa ed eri subito libero. Potevi, saltuariamente, trovare impiego alle poste o alla stazione centrale, fare il benzinaio, il fornaio.
Esistevano tutta una serie di lavori che con un pò di fortuna ti permettevano di  guadagnare per vivere e  trovare il tempo per studiare.
Riccardo, che aveva frequentato le scuole a Zurigo,  parlava perfettamente il dialetto zurighese diversamente da me che cominciavo ad esprimermi ma avevo bisogno di tempo. Studiavo il tedesco ma non bastava ed  avevo fretta.
Potevo scendere in Canton Ticino, ma dove?  Un bel problema …
Ne parlavo con Riccardo che era più giovane di me ed ascoltava.
Continuavo ad uscire con Marisa e le altre.  Marisa poteva aiutarmi con la lingua ma non ero pronto per un rapporto profondo che ti cambia la vita. Marisa mi voleva bene, mi avrebbe aiutato, consigliato, sposato la mia causa.
Potevo farlo, potevo imbrigliare nei miei progetti la vita di un’altra persona?
Non potevo.
Il percorso era duro e lungo: una scala, ripida, che saliva fino ad una porta. Aprire quella porta  era l’obbiettivo che volevo raggiungere , gradino dopo gradino, verso il futuro immaginato, lungamente sognato,  scelto.
Arrivò Natale e poi capodanno.
Le Barizzi organizzarono una festa nella loro casa: un villino posto in cima  allo  Zollikerberg,  una località situata alla periferia  sud- est di Zurigo.
Da Bellvueplatz, uno dei più importanti nodi stradali, sulla sponda destra della Limat, dove il fiume defluisce dal lago, si prende il tram che porta a Rehalp e da lì, proseguendo lungo la Frochstr, passando per Waldburg, si sale fino all’abitato di Zollikerberg.
Eugenio, Nicolino, Riccardo…. Marisa, Giovanna, Adriana, Maria Silvia, Iris, Rosenmary. C’era anche Ornella che solitamente non faceva parte del nostro gruppo.
I genitori di Adriana e di Marisa nel salotto e noi nello scantinato trasformato in sala da ballo. Ricordo la musica, Adriana che cercava le canzoni di Adamo, l’allegria, i giochi in attesa della mezzanotte.
La neve era caduta abbondante.
  A mezzanotte le ragazze decisero di uscire per una passeggiata nel bosco. Il padre di Adriana mi prese da parte e mi disse: “mi raccomando, che non accada nulla” e mi affidò sua figlia.
Tornammo, io e gli altri, a Zurigo a piedi … attraverso il bosco ….

Zollikerberg
 
E a te che penso /lungo la strada che scende,/ fredda, / attraverso il bosco, /
le luci della notte. / Le cose che ho, / che non ho, / che vorrei avere per dare/  
L’amore che cerco, / che non ho, / che vorrei avere per amare / Dire: “ti amo”/
a te che ascolti.. / E’ solo illusione / il sogno che ho fatto /  lungo la strada che scende.

Sto per lasciare Zurigo. E’ una scelta ragionata se scelta si può chiamare quella di uno che non ha nulla per scegliere tranne i suoi anni.
I poveri non possono scegliere il liceo, i saperi, progettare l’università  e seguire le proprie vocazioni.  I poveri, quelli del mio tempo, speravano nel lavoro subito. Io no … avevo scelto i banchi di scuola, avevo scelto il liceo.
All’inizio del 1967 lascio la Scoeller und co ma resto a Zurigo fino ai primi di maggio.  Libero da impegni passo mesi bellissimi. Amavo mescolarmi tra i giovani che trovavi, sempre numerosi, in riva alla Limat  in prossimità di Belvue: un crocivia di lingue che erano musica ed io ero vivo e felice di esserci.